PARLIAMO DI NURAGHI – Parte quinta: Paraboloidi?

di Desi Satta

 

Qualche anno addietro, l’architetto N. Cappai ha proposto una curiosa ipotesi per descrivere le modalità di realizzazione di una tholos nuragica. Gli appassionati di nuraghi (non pochissimi) ne hanno di certo sentito parlare e lo riassumiamo in breve.

Secondo Cappai(1), il profilo interno della tholos sarebbe stato ottenuto utilizzando un lungo palo verticale (alto poco meno dell’altezza finale della tholos) ed una corda fissata alla sua estremità, così da mettere in pratica (in modo probabilmente inconsapevole, poiché la ricercatrice non si azzarda a suggerire che i sardi del BM conoscessero la geometria delle sezioni coniche) la costruzione grafica del profilo di una parabola. La simmetria cilindrica della disposizione avrebbe successivamente portato alla costruzione di un paraboloide di rotazione di asse corrispondente alla posizione del palo.

A differenza dell’ipotesi della rampa (proposta dal prof Laner) quella di Cappai non è concettualmente impraticabile: ed infatti Cappai fornisce una catena operativa ipoteticamente valida.

Ci si potrebbe domandare, tuttavia, come mai i sardi del bronzo medio abbiano escogitato una furbata del genere, e sarebbe la prima considerazione in ambito archeologico. In altri termini bisognerebbe chiedersi: “a parte il fatto che (forse) potrebbe funzionare: che indicazioni ci sono che possano portare ad un’ipotesi così ardita?

Mi spiego meglio. Proporre un’ipotesi come quella di Cappai avrebbe bisogno di una qualche pezza d’appoggio, ovvero una qualche indicazione archeologica, iconografica o testuale (storica) che la supporti. In mancanza di tutto ciò, rimane un’ipotesi non falsificabile (cioè che non può essere contraddetta) e dunque non verificabile. Sebbene si tratti, apparentemente, di un artifizio logico, non è così, e tutte le discipline che vogliono essere scientifiche si basano proprio su questo (archeologia inclusa, per quanto può).

Ciò detto, tanto per essere chiari e per sottolineare che la teoria è debole per il modo in cui viene proposta (non facendola derivare da alcun dato) occupiamoci più da vicino di quella che Cappai presenta come “verifica sperimentale dell’ipotesi” (detto per inciso, lo stesso errore logico di coloro che vanno a spasso per campi con un GPS in mano, ed altro altrove, pensando di essere improvvisamente diventati scienZZiati!).

Come ragiona la Cappai? Semplice: se ci rechiamo all’interno di un nuraghe e misuriamo una tholos verificando che la superficie interna è un paraboloide di rotazione, allora significa che la mia ipotesi è corretta.

Ripeto: non è così neppure in linea di principio, perché il problema non sarebbe dimostrare che si tratta di un paraboloide, ma dimostrare che è stato usato il metodo proposto dal lei per costruirlo, e ciò e concettualmente differente, però verifichiamo cosa significa “misurare se la superficie interna della tholos è un paraboloide”, che sarebbe ciò che l’architetto si propone.

Per chi non ha dimestichezza con la pratica della sperimentazione e del trattamento dei dati sperimentali, può darsi che le considerazioni che seguono possano risultare ostiche. Me ne dispiace, ma le tecniche di analisi dei dati (purtroppo) sono proprio quelle che descriverò nelle prossime righe e sono il motivo per il quale Cappai ha detto scritto e pubblicato un’enorme cumulo di sciocchezze, mostrando come a fare un mestiere per il quale non si abbia studiato si finisce per fare una figuraccia!

Punto primo: come si fa a capire se una superficie ha una data forma (che sarebbe come dire: come facciamo a dire se la superficie della tholos ha una forma corrispondente ad un paraboloide di rotazione)?

Per i non addetti è una domanda cui è difficile rispondere, allora facciamo un passo indietro, rispondiamo ad una domanda più semplice e poi costringiamoci ad un piccolo sforzo di immaginazione.

Domanda semplificata: come facciamo a dire se un certo numero di punti su un piano sono allineati? Sembra una domanda facile, eppure la risposta è complicata quanto quella del paraboloide, perché, naturalmente, non possiamo limitarci ad un’occhiata, ad una valutazione soggettiva. Dobbiamo chiederci se esista un mezzo analitico per decidere “oggettivamente” se i punti siano allineati o meno.

Tradotto in matematica, significa ricavare l’equazione della retta nel piano cartesiano (x,y) [in cui i punti che stiamo considerando sono espressi con le loro coordinate] e che contiene i punti stessi (se una serie di punti sono allineati, allora saranno contenuti in una retta, no?). Ad esempio il punto P1 con le coordinate x1, y1, quello P2 con x2,y2 e così via. Siccome l’equazione della retta è in generale del tipo y=ax+b, il problema si risolve calcolando i due coefficienti a e b.

Come si fa? Si chiama problema di “minimo”, e consiste nel trovare quella retta tale per cui la somma delle distanze dei punti dalla retta stessa è la più piccola possibile. Quella è la retta secondo la quale i punti sono allineati.

Dove sta il problema? Che tale retta si può calcolare sempre, perché anche se i punti sono malamente allineati (anche ad occhio) i coefficienti a e b si ottengono comunque ed esprimono la retta “che meglio approssima l’allineamento dei punti”. Insomma la retta “migliore” possibile.

Punto successivo: come si fa a dire se un gruppo di punti sono allineati meglio di un altro? Perché il problema, come si capisce bene, è proprio questo: esiste un metodo oggettivo (non ad occhio) per verificare se un gruppo di punti approssima una retta meglio di un altro (cioè è allineato meglio di un altro)?

La risposta è naturalmente sì, e sta alla base di tutta la scienza sperimentale. La verifica sperimentale di un’ipotesi (di una teoria) consiste esattamente in questo: si esegue una sperimentazione, si ottengono i “punti” sperimentali, poi si verifica se essi corrispondono o meno alle previsioni teoriche (che sarebbe come dire ad un qualcosa che assomiglia alla “retta” che abbiamo appena considerato). Tutta la scienza sperimentale è fatta in questo modo, dalla verifica della legge di gravitazione di Einstein alla legge della riflessione dei raggi luminosi!

I dettagli li risparmio (bisogna conoscere un poco di matematica) ma spero che sia chiaro il concetto che quando si propone un’ipotesi e si pretende di darne una verifica sperimentale, non è sufficiente calcolare la retta che approssima i punti, ma bisogna anche dire quanto li approssima!

Torniamo a Cappai. Premesso che non compie alcuna osservazione sperimentale ma adopera dati altrui (e non ci sarebbe niente di male) e che però ci sarebbe da discutere moltissimo su due aspetti ( l’elaborazione dei dati derivanti dalle procedure di rilevamento – effettuata malissimo – e la grave mancanza da parte della Cappai che non considera l’intervallo di errore suggerito dai rilevatori), la ricercatrice si limita a calcolare le parabole di interpolazione dei punti sperimentali (tra l’altro descrivendo le operazioni come uno studente del liceo scientifico, da cui si deduce che la matematica non debba essere il suo forte!).

In pratica: avendo come dato di partenza un profilo verticale medio di una tholos, ottenuto dalla letteratura, effettua il calcolo della parabola che meglio lo approssima. Punto e a capo.

Si tratta di un’approssimazione che conforta la sua ipotesi? Sì? No? Boh!

Nessuno lo sa, non lo sappiamo noi e non lo sa lei, in verità non lo sa nessuno, perché tutto ciò che compare nella sua pubblicazione è un disegnino con dei punti che stanno su una curva tratteggiata: il metodo si chiama, in linguaggio tecnico, occhiometro! (Ma Cappai ha mai sentito parlare di coefficienti d correlazione?? Ah, saperlo, saperlo.)

Ciò che fa scompisciare dalle risate, è il fatto che l’aver calcolato una parabola interpolante (attività che deve averla esaurita al disopra di qualunque altra fatica immaginabile) le fa dire che si sente di aver dato un contributo alla comprensione delle tecniche costruttive! Una stupidaggine smisurata!

Nel prossimo post (per chi vuole) cercherò di capire: a) perché si pubblicano idiozie come queste (e non è difficile); b) perché una tholos è fatta com’è fatta e da cosa dipende veramente (ciò è meno semplice, ma ci proviamo).

 

5/continua

desi.satta2@virgilio.it

xxx

(1) A hypothesis on a building technique to determine the shape of the Nuragic tholoi – Proceedings of the First International Congress on Construction History, Madrid, 20th-24th January 2003, ed. S. Huerta, Madrid: I. Juan de Herrera, SEdHC, ETSAM, A. E. Benvenuto, COAM, F. Dragados, 2003. (535-544)

Questa voce è stata pubblicata in ArcheoloGGia. Contrassegna il permalink.

5 risposte a PARLIAMO DI NURAGHI – Parte quinta: Paraboloidi?

  1. Chellelleddu ha detto:

    Ciao Desi,mi domando il perchè di questo intervento in un blog nel quale parli di una persona chiamandola per nome e cognome.

    Esiste un modo più semplice, diciamo scientifico, per contribuire al bene dell’umanità e quindi alla sviluppo della conoscenza (e provo a suggerirlo): partecipare ai congressi ove si possono discutere e mettere a fattor comune ipotesi e teorie anche se non convergenti. Così come proporre le proprie teorie e non contrastare quelle altrui senza proporre niente.

    By the way, mi interessa un aspetto: “Mi spiego meglio. Proporre un’ipotesi come quella di Cappai avrebbe bisogno di una qualche pezza d’appoggio, ovvero una qualche indicazione archeologica, iconografica o testuale (storica) che la supporti.”

    Come mai dopo aver posto il problema della pezza d’appoggio (che vorresti archeologica, iconografica o testuale” ti concentri sulla speigazione matematica? E, diciamo, come mai quando è il momento di metterci la ciccia (la tecnica, le conoscenze, le forule di dettaglio, diciamo la conoscenza) ti tiri indietro?

    La divulgazione, come giustamente sembri voler sottolineare, deriva anche dal proporre l’evidenza (non archeologica o iconografica, nemmeno testuale per cortesia … in Sardegna siamo andati avanti sulle storielle degli umanisti che di nuraghi non hanno mai capito granchè …. ma architettonica, trattandosi di strutture) scientifica.

    Sincerly yours, Chellelleddu

    A seguito di precisa domanda, non mi risulta che Desi la conosca. Pertanto, come avrà visto dalla frequentazione del bLLog, è pregato di usare il lei, altrimenti può anche andare altrove. Pubblico questo commento con l’avvertenza che i prossimi, se ve ne saranno e non osserveranno le regole, verranno cestinati (e si troveranno in numerosa compagnia).
    BS

  2. Gabriele Ainis ha detto:

    Mi scuserà se commento io le sue scempiaggini (Desi, in questo momento, ha altro cui pensare).
    1) Cappai ha pubblicato un lavoro. Quindi se ne può parlare quanto e come si vuole. Se poi l’architetto non vuole rispondere (o molto semplicemente neppure si accorge che qualcuno si è occupato di lei) saranno fatti suoi. Tra l’altro, lei saprà che la stessa Cappai non si sottrae dalla partecipazione a forum che sono tutto fuorché un consesso accademico.
    2) Le pezze d’appoggio di cui si parla, come sottolineato da Satta, sono evidentemente assenti (lei le vede nel lavoro di Cappai?). Le lei avesse la capacità di capire ciò che legge (guardi che non è difficile, la gente normale ci riesce), comprenderebbe che ciò significa che non ci sono. Ergo: quali pezze d’appoggio dovrebbe portare Satta, quelle che non esistono?
    3) Di quali teorie parla? La informo che il fatto che la sua povera mamma l’abbia dotata di un dito per digitare sulla tastiera, non è una buona ragione per angariare la gente con commenti privi di senso. Si è parlato dell’inconsistenza dell’analisi numerica di Cappai: se lei (come Cappai) non è in grado di capire ciò che scrive Satta, perché perde tempo a manifestare la sua ignoranza? Ne segua le orme (di Cappai) e taccia, priverà il mondo di un’altra sequela di fesserie e verrà beatificato da Ratzinger per questo!
    Cordialmente,
    Gabriele Ainis

    • Chellelleddu ha detto:

      Il tono di questo blog continua ad essere propenso alla polemica ed allo scontro personale; contesto al quale, seppur tentato, preferisco negare la mia personalissima partecipazione. Qua si parla di teoria, cultura, Sardegna, nuraghi e chissà che altro. Sono appassionato e quindi mi appassiono.

      Tra le cose che so fare, facendo volteggiare i polpastrelli se Ella mi consente, è quella di considerare che anche questo (questo blog dico) tutto è tranne che un consesso accademico (anche se in questo, in questo posto dico, il consesso accademico viene liquidato con superficialità … in merito alla quale prego considerare come sono appellati i ricercatori di fama di quel congresso, qualcosa che evidentemente i meno informati tendono a non considerare).

      Certo è vero, a partire dal livello di imbarbarimento accademico nel quale la nostra Nazione è precipitata questo non è una vera novità.

      Così come il fatto che qualcuno, con leggerezza (ma tutto è molto leggero in questo intervento, soprattutto gli aspetti chiamiamoli scientifici), non considera un certro numero di cose. Un segno direi.

      E’ semplice, a tal proprosito, suggerire ad Ella ed all’altra Ella di considerare, qualora la cosa sia sfuggita, il fatto che il corso di Architettura, così com’è congegnato, prevede come esami obbligatori (sui quali immagino Ella e su Ella siano transitati) di Analisi, Fisica, Statica, Scienza delle Costruzioni …. che credo non significhi esattamente non conoscere la matematica e quei quattro concetti banali che sono posti li dal blogger per confutare una teoria costruttiva (direi che la pubblicazione dell’abstract del Congresso le fornisce quel rango, che piaccia o no).

      Certo è vero che, quando si procede con leggerezza si può cadere in errore e non considerare che quello scritto citato altri non è che la pubblicazione degli atti di un congresso. Per chi va oltre la leggerezza e conosce il mondo accademico in occasione dei Congressi non si produce tutto il materiale di studio ma solo il cosiddetto “abstract”. In quel contesto non è ammesso produrre tutto il proprio materiale nè citare il proprio materiale non pubblicato (in quanto non pubblicato); su questo una notizia che riguarda la sua affermazione numero 1: la Cappai non ha pubblicato niente, ha pubblicato l’abstract del suo intervento (come sempre accade) l’organizzazione del Congresso.

      Sul punto due, immagino che a questo punto sia chiaro che ciò che è nella disponibilità della sopra scrivente è un abstract di ricerca, che è stato passato al vaglio della commissione che ha organizzato il congresso e che immagino non sia in discussione in questo blog (ma su questo, chiedo conferma, mica si sa mai … magari c’è da dire anche su quello così come dei partecipanti, magari, come si fa in questi casi, presentando titoli e numeri).

      Credo che non sia difficile, comunque e come sopra proposto, confutare una tesi nel dettaglio … anche se questo non sembra essere l’argomento dell’intervento. Soprassediamo sul fatto che alle volte si cade nel volgare insulto personale (sarà qualcun altro a valutare questo cose, immagino Cappai, come se fosse scomparso il riferimento alla persona), purtroppo non c’è il benchè minimo di ciccia se non quattro formulette prese da un libro di geometria da scuola secondaria.

      Amante della ricerca scientifica attendo ogni prova che vorrete fornire in merito alle vostre tesi. Senza soprassedere, mica c’è bisogno di dare per scontato. Qua non c’è un problema di spazio come negli abstract, qua lo spazio deve essere riepito di sostanza, in particolar modo quando si vuole affermare una tesi (non è questo il caso, però visto che non c’è tesi) ma confutarla.

      Ribadisco che comunque, per questo argomento e per gli altri, è facile partecipare alle discussioni che alle volte si svolgono sul territorio dove la Cappai e gli altri che sono insultati in questo blog, possono partecipare per proporre le loro tesi (ma non è questo il caso) o confutare quelle degli altri.

      La lascio al suo ridicolo atteggiamento.

      Chellelleddu.

  3. Gabriele Ainis ha detto:

    Vede che lei è un cretino completo? Non si è nepppure accorto che in calce all’articolo di Satta c’è il link per il lavoro di Cappai, il lavoro completo, non l’abstract, disponibile in rete in formato PDF (ma lei lo sa di cosa parliamo? Ha idea di cosa siano gli Atti di un congresso (e non la raccolta preliminare degli abstract)? Anzi, ma lo sa cos’è un congresso?). Visto cosa succede quando la riforma della scuola elimina gli insegnanti di sostegno per gli handicappati? Che fanno finire le elementari a gente come lei!
    In merito alla matematica (di cui lei non capisce un fico) solo un imbecille non sa che gli architetti non si occupano di teoria della misura, ovvero i metodi matematici per la riduzione dei dati sperimentali, che poi sarebbe esattamente la carenza segnalata da Satta.
    Adesso che ha fatto una figura da scemo completo è più contento? Sì?
    Mi stia bene,
    Gabriele Ainis

Scrivi una risposta a Gabriele Ainis Cancella risposta